
Poesia romanzo — L'albatro di Charles Baudelaire
Mi pare di avere descritto bene l'idea che il poeta vuole descrivere, io che ancora sento il mare chiamare e sogno di tartarughe marine ed ippocampi dal cuore dell'Isola di Capri. Il lavoro continuava, mi scuso per avere presentato un lavoro incompleto ed incorretto dopotutto. Mi manca poco per finirlo e raffinarlo, veuillez me pardonner, mesdames et messieurs.
Spesso i più scaltri della ciurma
s’accaniscono vilmente sull’albatro
e obluminati dalle foschie della vita notturna
torturano questi maestosi uccelli marini,
maltrattandoli con piglio atroce e macabro
per eruttare via i fumi dei loro festini.
Sfogano la rabbia repressa e qualche guaio
su questo viaggiatore alato un pò maldestro e goffo,
quando con due pagaie bianche al traino
si vede schernito e rimbeccato dal mezzo marinaio.
Mi smonta vederlo lì sul ponte, impacciato e buffo,
lui che sfidava l’orizzonte poco prima
viene mimato con miserabile e pavido astio
da un ebbro ed empio omino che si finge storpio.
Ogni poeta, elevato e nobile come le ali d’azzurro,
si lancerebbe impavido contro il fortunale,
con sforzo vedrebbe il male zotico e buzzurro
nelle frecciate degli ipocriti che con odio animale
nella folla gli urlerebbero che è un incapace
e che quelle ali giganti in cui continua ad inciampare
non lo rendono temibile e rispettabile come un altro volatile rapace.



